
Io aborro lo shopping natalizio. Per questo ogni anno mi lascio abbindolare dalla Grande Illusione meneghina, mentendo a me stessa: “Vado, investo una giornata, mi faccio venire l’epatite C ma almeno poi non ci penso più!”. Compro il mio bravo biglietto per Rho Fiera a 2,50 e mi lascio fagocitare da quel mostro millenario di plexiglas e acciaio che è L’Artigiano in Fiera. Ci resto in media dalle 6 alle 12 ore. Esco boccheggiando, profumata di stufato di montone al caramello, sudata marcia, con i piedi ridotti in purea, le spalle lussate, i gomiti spelati a furia di assestare botte violente nel costato dei miei nemici, ubriaca e sul punto di vomitare. Senza più un euro, costretta a fare la questua per il biglietto del ritorno. E ovviamente SENZA AVER COMPRATO UN CAZZO DI UTILE PER NATALE.
Entrare alla fiera dell’Artigianato significa varcare un portale infradimensionale che conduce a una specie di regno dei Supplizianti, come in Hellraiser: in bilico tra piacere assoluto e tortura insopportabile, ci si lascia trascinare da una folla zombizzata da un banchetto all’altro, di stand in stand, attraverso cinquecento padiglioni labirintici e si perde ben presto il lume della ragione. Al minuto 27 siamo già propensi ad assaggiare il patè di piedi e porri dell’Appennino Molisano. Dopo due ore stiamo comprando le stesse chincaglierie cinesi che vendono nella bottega lercia sotto casa nostra, dove peraltro costano la metà. Dopo tre ore strisciamo allo stand bavarese completamente disidratati, supplicando una birra e scopriamo che tutti gli altri visitatori hanno avuto la stessa idea. Ci mettiamo in fila con altri settemila disperati mentre lentamente ci si annebbia la vista, per via del persistente odore del caratteristico Tuttoinunsecchioconleuovaincima Fritto, il cibo tipico dell’Artigianato, in cui ogni Paese frigge, cioè volevo dire cucina, le proprie pietanze fritte, cioè volevo dire tipiche.
Come se tutto questo non bastasse, dobbiamo combattere con l’insidioso avventore medio della Fiera, Il Pensionato con Trolley. Questo famelico individuo ambosesso è un grande vate dell’Artigianato che frequenta puntualmente ogni anno, maturando almeno 5 o 6 visite nella settimana di apertura della Fiera. L’insidioso professionista trascina una valigia con rotelle dove, previdentemente, stiperà i suoi molti acquisti senza affaticare la schiena. E, naturalmente, sa acquistare le cose giuste con solerzia e precisione, facendo anche ottimi affari. Voi lo vedete arrivare bello fresco, trascinando il suo rimorchio con la stessa eleganza baldanzosa di James Bond all’aeroporto e immediatamente lo odiate. Egli vi scocca un’occhiata di puro compatimento, osservandovi curvi come Quasimodo, carichi come muli dell’esercito, con sacchetti di cose inutili appesi anche alle orecchie. Vi striscia accanto, leggiadro, superbo. E VI PASSA SOPRA I PIEDI CON IL SUO TROLLEY DA CENTOSEI CHILI DI PACCOTTIGLIA TERZOMONDISTA.
Ci sono molte altre specie umanoidi pericolose che si aggirano tra i padiglioni della Fiera, come le vecchiette col freno a mano incorporato, quelle che si bloccano di botto come un opossum che fa il morto davanti a un banchetto interessante, che immancabilmente tamponerete e vi sgrideranno perché la gioventù di oggi non ha più rispetto. I terzomondisti, che si aggirano con aria vacua tra gli stand del Mondo, dove duemila bancarelle diverse eppure uguali vendono bonghi, sciarpe, flauti peruviani, oggetti cinesi di vario genere e oggetti fritti. I buongustai, che frequentano la fiera solo per rimpinzarsi a suon di assaggini gratuiti, ma ogni tanto cedono alle lusinghe delle offerte speciali, tipo “2 ostriche e un cicchetto cinque euro”: tra loro troverete i peggiori alcolisti in circolazione tra i capannoni di Rho. I fidanzati esasperati, occhio pallato e iniettato di sangue, capello verticale, viso color gesso andato a male, sono ostaggio di fidanzate psicopatiche che li portano appresso come portaborse, appendendo i sacchetti con i loro acquisti agli arti della loro metà. I Subumani, quelli che portano carrozzine con neonati, cani, centenari, malati in barella, elefanti, abeti e mostri marini al seguito, come se a qualcuna delle summenzionate categorie potesse interessare qualcosa della Fiera e come se questo infernale budello fosse il posto adatto per strutture voluminose contenenti esseri non senzienti.
L’Artigianato è un posto impossibile da frequentare senza la seguente attrezzatura: taser, spuntoni da montare sui gomiti, scarpe con la punta di acciaio, stelle ninja, gas nervino, capsule di cianuro per suicidi in caso di situazioni di emergenza.
Anche quest’anno ho combattuto duramente la mia battaglia all’Artigiano in Fiera. Persino la Sangalli è scesa brevemente in campo al mio fianco, ma non si è ricordata di portarmi quei lanciafiamme che le avevo chiesto. Anche quest’anno ho augurato una morte subitanea, oppure lenta e dolorosa, a seconda dei casi, all’80% delle persone che hanno reso impervio il mio cammino. Anche quest’anno mi sono dovuta ricoverare in un centro di riabilitazione per riprendermi dallo sfacelo della giornata in fiera. E anche quest’anno, ovviamente, non ho comprato un cazzo.
Perciò tra dodici mesi quando mi sentirete dire che si potrebbe andare a fare un giro alla Fiera dell’Artigianato se mi volete bene fatemi un favore: uccidetemi.