
Camilla vittima della dagherrotipia contemporanea.
La compulsione contemporanea per l'immortalamento coatto (certi vecchi antichi tipo Barthes e Bazin avevano parlato di rapporti tra la fotografia - prima - e il cinema - poi - e la morte, il desiderio di immortalita' che spinge a catturare la realta', lo schermo-sudario ecc.) e' un abitudine capillarmente diffusa.
Che voi siate al Louvre davanti alla Gioconda, sulle cascate del Niagara o alla reunion dei Beehive lo scenario è lo stesso: omini e donnine con il loro bravo braccino teso nel saluto bipartisan contemporaneo, né romano, né a pugno chiuso. Il saluto digitale.
Il ferale gesto conosce anche una declinazione più perversa che è quella del selfie: purtroppo non si tratta di una particolare tecnica onanistica, ma dell'autoscatto ravvicinato, tipico comportamento tribale del bimbominkia comune. Il selfie-maniaco denota anche un certo masochismo e disprezzo di sè, poiché, per ovvi motivi prospettici, la faccia autoripresa a pochi cm dalla fotocamera risulta obbligatoriamente orrenda, i menti si sovrappongono in una debordante fisarmonica, il colorito e' inevitabilmente livido per via della luce non bilanciata e gli occhi sono a calamaro, come quelli dell'ammiraglio Ackbar o di Angelino Alfano, che poi sono la stessa persona. In pratica, tutti i selfie fanno cagarissimo e tutti i soggetti assomigliano a Jabba the Hutt (gli uomini) e alla Sora Lella (le donne).
La pratica più molesta, tuttavia, risulta quella di riprendere e/o fotografare un concerto dal vivo. Al concerto dei Radiohead a Bologna sembrava di stare nella vecchia pubblicita' della Coca-Cola, quella con la fiaccolata, "vorrei cantare insieme a voi un coro in compagnia". Solo che al posto delle fiammelle e degli accendini c'era una selva di display, cristalli liquidi e fottutissimi tablet. Cosi la gente guarda il concerto fissando uno schermo che riprende un maxischermo. Soldi spesi bene, considerando che seguendolo a casa in streaming almeno risparmiavate un paio di schermi. E' la persistenza della memoria, diceva Dali. E va bene, fattela pure una foto, che anch'io ne ho fatte un paio al concerto dei Cure (benche' la mia fotocamera funzioni sempre con l'effetto dagherrotipo), cosi la metti su Facebook e fai rosicare gli amici. Una, due. Ma tutto il concerto...non hai niente di meglio da fare? Tipo cantare, ballare, picchiare quelli che ti pogano addosso, toccare abusivamente dei culi con la scusa del pogo violento, bere la caratteristica media in plastica all'Anitra WC dei concerti e versartene 3/4 sulle Converse alla prima gomitata nello sterno? Hai davvero voglia di stare immobile a braccio teso per tre ore, preoccupato di tenere bello dritto il tuo nuovissimo tablet ed evitare che venga pestato da un metallaro ciucco, unto come un Kebap? Non preferiresti invece saltare leggero come nella pubblicita' del Nuvenia Pocket e lasciare che sia qualche altro pirla a fare lo sbattimento, mentre tu rivivrai le tue emozioni domani, comodamente spaparanzato davanti a YouTube?
Lasciando stare tutti i discorsi filosofici e teorici sul rapporto tra reale e virtuale, compresenza e dislocazione, egocentrismo dell'internauta contemporaneo ("se il video lo faccio io lo metto sul mio canale e la gente clicca me"...ghigghlegihgghle...risata da nerd), eccetera. Lasciando stare il costo di un tablet o smartphone grattuggiati dai piedi di un'orda festante o tuffatisi gioiosamente in una birra. Lasciando stare che rompete i coglioni a ME che sono bassa 1,60 e già ho i miei problemi di visibilità, senza avere il campo delle meduse fluorescenti di Nemo sopra la testa.
Tralasciando questi e altri aspetti, forse non sapete che i rocker, quelli veri, amano sputare, sudare e orinare sul pubblico. Incuranti dei pixel e dei display a cristalli liquidi. E ben vi sta. Anzi, spero proprio che Ozzy Osborne stacchi l'hardware del vostro tablet a morsi. E poi lo sputi ostentando disprezzo.