
di Kamo
Settimana scorsa sono stata al Festival di Cannes. Per chi non avesse mai passeggiato sulla Croisette durante la kermesse cinematografica più importante del mondo, sì, è proprio come ve la immaginate. Donne più o meno bellissime vestite da lampadari, uomini più o meno bruttini in smoking stazzonati, auto dai finestrini neri come l’umore di Beppe Grillo, Ferrari, passerelle, cotillons e Cotillard.
Dovete sapere, infatti, che l’avventore medio della Cannes glamour (non sto parlando qui dei critici sporchi e sudati che zompettano ansimando da una sala all’altra rischiando di strangolarsi con il cordino dell’accredito) è privo di invito, ma ci prova duramente, ogni sera, a scalare l’ambita montée des Marches, vestendosi di tutto punto e mendicando un invito in sala con cartelli degni del rom più piagnone.
Questo significa che una persona normale di sesso femminile come la sottoscritta, 1.60 per 50 chili, è destinata a sentirsi un nano obeso pettinato come Casaleggio ogni volta che, uscendo per fare la spesa, si ritrova a slalomare tra sirene bidimensionali alte come Kareem Abdul Jabar avvolte in manti talmente stellati che se le vedesse Brosio gli prenderebbe un colpo, perché sono più brilluccicose della Madonna di Medjugorie. Oltre a ciò, aggiungeteci due ore al giorno di figone griffate sul red carpet, dalle gambe bioniche di Sharon Stone alle tette in spandex di Rosario Dawson. Ce n’è di che far venire qualche complesso perfino alla Venere di Botticelli, diciamocelo.
Eppure, nonostante il mio grado di frustrazione e la mia sensazione di essermi reincarnata in un carciofo romano ogni volta che passeggiavo sulla Croisette, confesso che sono rimasta assolutamente scioccata da un discorso che ho origliato un giorno mentre attendevo famelica il mio panino in coda a un chioschetto. Dietro di me c’era una ragazza italiana, di corporatura assolutamente normale, che conversava al telefono con una non meglio determinata identità affettivo-amicale. La poveretta si stava giustificando per aver commesso un crimine nauseabondo, un gesto di rara codardia, una vigliaccata così bassa e avvilente da farla vergognare perfino più di Dudù quando fa i bisogni sullo scendiletto di mamma Francesca: aveva MANGIATO UN GELATO. Per alcuni, agghiaccianti minuti ho sentito la ragazza cercare di discolparsi, non certamente davanti al misterioso interlocutore, ma in un triste e perturbante soliloquio a se stessa, contrito, pieno di rimorsi. “Alla fine sono qui quasi in vacanza, c’è una bella giornata e mi faceva piacere, tanto poi quando torno ci sto attenta, ma era solo così, un momento allegro e allora… che poi se è uno ogni tanto ce lo si può concedere… come ai tempi dell’università, sai, quando si festeggiava l’esame passato… allora oggi ho pensato di festeggiare questa bella giornata, una tantum, sia chiaro, mi faceva piacere, ma tutto qui, uno solo…” e via delirando come neanche Dell’Utri quando sono andati a stanarlo in Libano.
Cara ragazza anonima che poi hai preso solo una bottiglietta d’acqua naturale, lo sguardo colpevole di un beagle sorpreso a masticare i RayBan del padrone, ti prego, rinsavisci. Non c’è bisogno di giustificare la tua voglia di gelato a te stessa. Una femmina è fatta di carne e sangue, un’immagine è fatta di fianchi falcidiati a colpi di Photoshop. Una donna mangia, beve e ride. Un ologramma sorseggia tisane lassative e piange chiusa dentro al bagno. Una ragazza sana si prende cura di sé e a volte si vizia con un gelato o un altro peccato di gola. Un canone estetico sta sulle pagine patinate di qualche rivista di moda o sui cartelloni. Una persona cammina per la strada, ha i brufoli, i capelli sporchi, qualche volta. Una top sfila leggiadra nel cielo siderale della sua passerella. Un essere pensante corre, prende la metro, va in bici con le borse della spesa e qualche volta inciampa. E cade e si sbuccia le ginocchia e poi si mangia un gelato per tirarsi su il morale. E vive.
Ma se non ti ho convinta, se ancora ti senti in colpa per aver sgarrato alle regole imposte da un branco di isterici nerovestiti in qualche grattacielo di New York, fatti un giro su Youporn. Guarda le pornostar più cliccate e amate dalla rete: non sono pali del telefono, non sono appendini dell’IKEA. Sono donne, fatte di tette, chiappe, carne, sangue. Belle, sode, in forma, ma donne a tutti gli effetti. E che piacciono molto agli uomini, spesso anche più delle loro compagne piallate dal pilates. Mangia tranquilla, se proprio ti senti in colpa fatti un giro in più in palestra. Ma vivi, santo cielo, che la vita è breve: giusto il tempo di un gelato.
Settimana scorsa sono stata al Festival di Cannes. Per chi non avesse mai passeggiato sulla Croisette durante la kermesse cinematografica più importante del mondo, sì, è proprio come ve la immaginate. Donne più o meno bellissime vestite da lampadari, uomini più o meno bruttini in smoking stazzonati, auto dai finestrini neri come l’umore di Beppe Grillo, Ferrari, passerelle, cotillons e Cotillard.
Dovete sapere, infatti, che l’avventore medio della Cannes glamour (non sto parlando qui dei critici sporchi e sudati che zompettano ansimando da una sala all’altra rischiando di strangolarsi con il cordino dell’accredito) è privo di invito, ma ci prova duramente, ogni sera, a scalare l’ambita montée des Marches, vestendosi di tutto punto e mendicando un invito in sala con cartelli degni del rom più piagnone.
Questo significa che una persona normale di sesso femminile come la sottoscritta, 1.60 per 50 chili, è destinata a sentirsi un nano obeso pettinato come Casaleggio ogni volta che, uscendo per fare la spesa, si ritrova a slalomare tra sirene bidimensionali alte come Kareem Abdul Jabar avvolte in manti talmente stellati che se le vedesse Brosio gli prenderebbe un colpo, perché sono più brilluccicose della Madonna di Medjugorie. Oltre a ciò, aggiungeteci due ore al giorno di figone griffate sul red carpet, dalle gambe bioniche di Sharon Stone alle tette in spandex di Rosario Dawson. Ce n’è di che far venire qualche complesso perfino alla Venere di Botticelli, diciamocelo.
Eppure, nonostante il mio grado di frustrazione e la mia sensazione di essermi reincarnata in un carciofo romano ogni volta che passeggiavo sulla Croisette, confesso che sono rimasta assolutamente scioccata da un discorso che ho origliato un giorno mentre attendevo famelica il mio panino in coda a un chioschetto. Dietro di me c’era una ragazza italiana, di corporatura assolutamente normale, che conversava al telefono con una non meglio determinata identità affettivo-amicale. La poveretta si stava giustificando per aver commesso un crimine nauseabondo, un gesto di rara codardia, una vigliaccata così bassa e avvilente da farla vergognare perfino più di Dudù quando fa i bisogni sullo scendiletto di mamma Francesca: aveva MANGIATO UN GELATO. Per alcuni, agghiaccianti minuti ho sentito la ragazza cercare di discolparsi, non certamente davanti al misterioso interlocutore, ma in un triste e perturbante soliloquio a se stessa, contrito, pieno di rimorsi. “Alla fine sono qui quasi in vacanza, c’è una bella giornata e mi faceva piacere, tanto poi quando torno ci sto attenta, ma era solo così, un momento allegro e allora… che poi se è uno ogni tanto ce lo si può concedere… come ai tempi dell’università, sai, quando si festeggiava l’esame passato… allora oggi ho pensato di festeggiare questa bella giornata, una tantum, sia chiaro, mi faceva piacere, ma tutto qui, uno solo…” e via delirando come neanche Dell’Utri quando sono andati a stanarlo in Libano.
Cara ragazza anonima che poi hai preso solo una bottiglietta d’acqua naturale, lo sguardo colpevole di un beagle sorpreso a masticare i RayBan del padrone, ti prego, rinsavisci. Non c’è bisogno di giustificare la tua voglia di gelato a te stessa. Una femmina è fatta di carne e sangue, un’immagine è fatta di fianchi falcidiati a colpi di Photoshop. Una donna mangia, beve e ride. Un ologramma sorseggia tisane lassative e piange chiusa dentro al bagno. Una ragazza sana si prende cura di sé e a volte si vizia con un gelato o un altro peccato di gola. Un canone estetico sta sulle pagine patinate di qualche rivista di moda o sui cartelloni. Una persona cammina per la strada, ha i brufoli, i capelli sporchi, qualche volta. Una top sfila leggiadra nel cielo siderale della sua passerella. Un essere pensante corre, prende la metro, va in bici con le borse della spesa e qualche volta inciampa. E cade e si sbuccia le ginocchia e poi si mangia un gelato per tirarsi su il morale. E vive.
Ma se non ti ho convinta, se ancora ti senti in colpa per aver sgarrato alle regole imposte da un branco di isterici nerovestiti in qualche grattacielo di New York, fatti un giro su Youporn. Guarda le pornostar più cliccate e amate dalla rete: non sono pali del telefono, non sono appendini dell’IKEA. Sono donne, fatte di tette, chiappe, carne, sangue. Belle, sode, in forma, ma donne a tutti gli effetti. E che piacciono molto agli uomini, spesso anche più delle loro compagne piallate dal pilates. Mangia tranquilla, se proprio ti senti in colpa fatti un giro in più in palestra. Ma vivi, santo cielo, che la vita è breve: giusto il tempo di un gelato.