
di Kamo
È primavera, la stagione del cinema è finita. Ci sono così tante cose da fare che possono dare un senso alle vostre giornate: passeggiate al parco, gelati, corse con il vostro cane, giri in bicicletta, aperitivi all’aperto, sbeffeggiare la gente che fa file di quattro ore per un bicchiere di plastica con due dita di prosecco del Lidl e una pizzetta possa al fuorisalone…insomma, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Ma niente, avete quel biglietto gratis dell’Esselunga e volete assolutamente usarlo prima che scada. Quel biglietto che vi è costato mezzo chilo di zucchine, un etto di mortazza e due certosini: su, potete permettervi di buttarlo. Poi lo sapete già come va a finire: con la scusa del biglietto gratis vi comprate una magnum di cocacola e un paiolo di popcorn e finirete per aver speso 25 euro, avere le acidità, il rutto libero e quattro cuscinetti di cellulite in più sulle sovracosce.
Insistete pure? E va bene, andate al cinema, se proprio volete. Andate pure a vedere Noah di Darren Aronofski. Ma sappiate a cosa andate incontro, almeno.
C’era una volta un ciccione bitorzoluto, uno di quei camionisti bisunti in camicia a scacchi e scarponi da trekking pieni di malta che incontrate nelle trattorie caratteristiche di campagna col menu a 10 euro primo, secondo, caffè e mezzo litro di vino della casa. Per una di quelle circostanze incomprensibili che di solito si verificano solo nella mente di David Lynch, questo ciccione (lo chiameremo Russelone Cornacchie) diventò un celeberrimo attore di Hollywood. Il Cornacchie era così bravo a declamare l’alfabeto ruttando che vinse anche un premio Oscar, approfittando di un momento in cui l’Academy era afflitta da una rarissima forma di Alzheimer fulminante e contagioso.
Un brutto giorno, un regista di belle speranze che aveva girato un paio di bei film, insieme a qualche roba trascurabile o bruttina, andò a raccogliere le spugnole con la famiglia in Val d’Intelvi. Un anziano del paese, geloso per il cestello traboccante di funghi del giovane regista, si vendicò cospargendo il sentiero di scivolosa pasta Polydent: il regista cadde, battè la testa su un sasso aguzzo e decise di fare un film su Noè. E indovinate chi scelse come protagonista? Il nostro amico Cornacchie, naturalmente. E ci fu il budget.
Cornacchie era fermo da un po’ e aveva passato gli ultimi tre anni a lavorare come addetto alla frittura alle feste dell’Unità della Romagna: si era notevolmente appesantito, quindi il nostro regista cerebralmente compromesso lo mandò in palestra per rimettersi in forma. Nel frattempo, scriveva la sceneggiatura rileggendo Tolkien e riguardando le vecchie puntate di Sentieri e Febbre d’Amore. E ci fu la sceneggiatura.
Quando Cornacchie si presentò sul set, aveva assunto l’aerodinamica forma di un frigorifero SMEG. Il regista pensò di sfruttarne le doti eccezionali facendolo massacrare orchetti a mani nude e facendolo battibeccare con dei sassi parlanti che non hanno niente da invidiare a Mordiroccia della Storia Infinita. Data la piega fantasy che aveva preso la storia, decise anche di chiamare Hermione Granger, disoccupata dopo la fine di Harry Potter. “Non è che mi mandi qualcuno che sappia fare gli effetti speciali, Hermi? Devo disegnare tante bestiole. Io li pago bene”, chiese il regista. Ed Hermi rispose: “Ho perso i contatti con i vecchi colleghi, ma in compenso ho un cugino nerd di quindici anni bravissimo che ha appena scaricato Photoshop”. E ci furono gli effetti speciali.
C’era poi un vecchio attore in stato confusionale che era scappato dall’ospizio degli attori e si aggirava rimestando nel cestino dei rifiuti per racimolare qualcosa da mangiare. “Mi piacciono le bacche”, ripeteva sbavando il poveretto, che chiameremo Antonio Opkinso. Il regista lo vide e si innamorò: “tu sei il mio Matusalemme!” Il vecchio fece una bava e disse: “Ma che cazzo c’entra Matusalemme?” Il regista rispose: “Li vuoi questi lamponi o no?”. E ci fu il cast.
“Siamo a cavallo”, pensò il regista. “Mancano solo un po’ di pathos, un figlio sessualmente represso, un po’ di botte da orbi qua e là e qualche scena madre di Russelone che si rivolge al creatore come Mario Merola in I figli so’ piezzi ‘e core interrogandolo sulle grandi questioni esistenziali”. E ci fu la post-produzione.
E così Cornacchie parlò al Creatore, il nemico inventato dal regista si nascose nell’arca a mangiare animali crudi, il figlio represso sessualmente si incazzò, la moglie pianse, il diluvio finì, Hermione tornò fertile grazie all’intervento di Matusalemme e figliò, l’umanità ricominciò da zero. E tra il pubblico ci furono conati di vomito, attacchi psicotici, crisi epilettiche e gravidanze isteriche. E in sala ci fu la luce.
È primavera, la stagione del cinema è finita. Ci sono così tante cose da fare che possono dare un senso alle vostre giornate: passeggiate al parco, gelati, corse con il vostro cane, giri in bicicletta, aperitivi all’aperto, sbeffeggiare la gente che fa file di quattro ore per un bicchiere di plastica con due dita di prosecco del Lidl e una pizzetta possa al fuorisalone…insomma, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Ma niente, avete quel biglietto gratis dell’Esselunga e volete assolutamente usarlo prima che scada. Quel biglietto che vi è costato mezzo chilo di zucchine, un etto di mortazza e due certosini: su, potete permettervi di buttarlo. Poi lo sapete già come va a finire: con la scusa del biglietto gratis vi comprate una magnum di cocacola e un paiolo di popcorn e finirete per aver speso 25 euro, avere le acidità, il rutto libero e quattro cuscinetti di cellulite in più sulle sovracosce.
Insistete pure? E va bene, andate al cinema, se proprio volete. Andate pure a vedere Noah di Darren Aronofski. Ma sappiate a cosa andate incontro, almeno.
C’era una volta un ciccione bitorzoluto, uno di quei camionisti bisunti in camicia a scacchi e scarponi da trekking pieni di malta che incontrate nelle trattorie caratteristiche di campagna col menu a 10 euro primo, secondo, caffè e mezzo litro di vino della casa. Per una di quelle circostanze incomprensibili che di solito si verificano solo nella mente di David Lynch, questo ciccione (lo chiameremo Russelone Cornacchie) diventò un celeberrimo attore di Hollywood. Il Cornacchie era così bravo a declamare l’alfabeto ruttando che vinse anche un premio Oscar, approfittando di un momento in cui l’Academy era afflitta da una rarissima forma di Alzheimer fulminante e contagioso.
Un brutto giorno, un regista di belle speranze che aveva girato un paio di bei film, insieme a qualche roba trascurabile o bruttina, andò a raccogliere le spugnole con la famiglia in Val d’Intelvi. Un anziano del paese, geloso per il cestello traboccante di funghi del giovane regista, si vendicò cospargendo il sentiero di scivolosa pasta Polydent: il regista cadde, battè la testa su un sasso aguzzo e decise di fare un film su Noè. E indovinate chi scelse come protagonista? Il nostro amico Cornacchie, naturalmente. E ci fu il budget.
Cornacchie era fermo da un po’ e aveva passato gli ultimi tre anni a lavorare come addetto alla frittura alle feste dell’Unità della Romagna: si era notevolmente appesantito, quindi il nostro regista cerebralmente compromesso lo mandò in palestra per rimettersi in forma. Nel frattempo, scriveva la sceneggiatura rileggendo Tolkien e riguardando le vecchie puntate di Sentieri e Febbre d’Amore. E ci fu la sceneggiatura.
Quando Cornacchie si presentò sul set, aveva assunto l’aerodinamica forma di un frigorifero SMEG. Il regista pensò di sfruttarne le doti eccezionali facendolo massacrare orchetti a mani nude e facendolo battibeccare con dei sassi parlanti che non hanno niente da invidiare a Mordiroccia della Storia Infinita. Data la piega fantasy che aveva preso la storia, decise anche di chiamare Hermione Granger, disoccupata dopo la fine di Harry Potter. “Non è che mi mandi qualcuno che sappia fare gli effetti speciali, Hermi? Devo disegnare tante bestiole. Io li pago bene”, chiese il regista. Ed Hermi rispose: “Ho perso i contatti con i vecchi colleghi, ma in compenso ho un cugino nerd di quindici anni bravissimo che ha appena scaricato Photoshop”. E ci furono gli effetti speciali.
C’era poi un vecchio attore in stato confusionale che era scappato dall’ospizio degli attori e si aggirava rimestando nel cestino dei rifiuti per racimolare qualcosa da mangiare. “Mi piacciono le bacche”, ripeteva sbavando il poveretto, che chiameremo Antonio Opkinso. Il regista lo vide e si innamorò: “tu sei il mio Matusalemme!” Il vecchio fece una bava e disse: “Ma che cazzo c’entra Matusalemme?” Il regista rispose: “Li vuoi questi lamponi o no?”. E ci fu il cast.
“Siamo a cavallo”, pensò il regista. “Mancano solo un po’ di pathos, un figlio sessualmente represso, un po’ di botte da orbi qua e là e qualche scena madre di Russelone che si rivolge al creatore come Mario Merola in I figli so’ piezzi ‘e core interrogandolo sulle grandi questioni esistenziali”. E ci fu la post-produzione.
E così Cornacchie parlò al Creatore, il nemico inventato dal regista si nascose nell’arca a mangiare animali crudi, il figlio represso sessualmente si incazzò, la moglie pianse, il diluvio finì, Hermione tornò fertile grazie all’intervento di Matusalemme e figliò, l’umanità ricominciò da zero. E tra il pubblico ci furono conati di vomito, attacchi psicotici, crisi epilettiche e gravidanze isteriche. E in sala ci fu la luce.