
di Kamo
Pasqua si avvicina e con essa le minacciose e/o lacrimevoli campagne che invitano a non mangiare i poveri, teneri agnellini. Premesso che l’agnello non mi fa impazzire e nella mia famiglia di provenienza non si è mai cucinato per motivi di gusti personali, tutto questo fermento animalista mi spinge a raccontarvi la mia storia.
O meglio, mi spingerebbe, se fossi pagata in base al numero di righe che scrivo. Ma così non è, perciò ve la faccio breve, tanto son comunque sei euro che mi danno quelli di Giovio15, quindi meglio sbrigarsi in fretta e tornare a esercitarmi per il giorno in cui farò le selezioni per The Voice.
Mi piacciono molto gli animali, mi sono sempre piaciuti e da piccola volevo fare la veterinaria: ho rinunciato al sogno quando, all’ennesima crisi depressiva per la morte di un cane trentenne che avevo visto una sola volta quindici anni prima in visita da un parente anziano, mi sono resa conto di non avere la fibra giusta per questo mestiere. Tuttavia, ho sempre coltivato una particolare sensibilità sul tema. Per anni sono stata iscritta alla Lega Anti-Vivisezione: ho smesso di pagare la quota quando sul bollettino mensile si è cominciato a parlare di quanto fosse ingiusto uccidere le povere zanzare. Amo gli animali, ma detesto la stupidità.
Per lo stesso motivo ho smesso, dopo quindici anni, di essere vegetariana. In questo caso la stupidità era la mia: non mangiavo carne e salumi ma continuavo a mangiare il pesce. Quale fosse la logica dietro questa scelta è presto detto: nessuna. O meglio, la logica della comodità: se mangiare fuori per un vegetariano in provincia può diventare un incubo, l’opzione “pesce” può regalare qualche possibilità in più. In altre parole, almeno mangiavo il sushi, cibo che sono arrivata a detestare cordialmente dopo anni di obbligatoria sudditanza. A un certo punto la mia personalissima lotta aveva perso di significato e io avevo perso la voglia di stare a tavola e il gusto per il cibo. Succede, quando la prospettiva del prossimo pasto ha il sapore acre e farraginoso di una bistecca di seitan contornata da insalata di alghe.
Anche di questo mi prendo la responsabilità: diventare vegetariani non è una scelta che si può fare a 12 anni, senza essere capaci di cucinare e senza avere accesso a tutti quegli ingredienti, generalmente comunque disgustosi (siate onesti!), che possono integrare il regime alimentare, sostituendo le proteine animali.
Per farvela breve, un giorno di tre anni fa ho ricominciato a mangiare carne e la mia vita è migliorata: il mio corpo è migliorato, ho (ri)scoperto la passione per il cibo e i sapori, la voglia di mettermi a cucinare, la contentezza e la curiosità di assaggiare cose nuove.
Ma non voglio fare proselitismi: sto bene così, anche con i miei sensi di colpa, perché nessuno dice che mangiare gli animali sia una cosa bella o eticamente corretta, e con le preoccupazioni per le schifezze che ingurgito mangiando la carne. Non vi date pensiero di spiegarmi che gli agenti nocivi sono maggiormente presenti nella carne ecc. ecc.: so tutto. Ma tuttavia continuo a fumare e bere alcolici: sono consapevole che mi fanno male, ma vedete, la vita è una sola e anche piuttosto fugace. Prolungarla mangiando solo soia fresca e bevendo acqua non mi sembra utile, non per come sono fatta io.
E nessuno sta dicendo nemmeno che non mangiarli sia sbagliato: vivi e lascia vivere e soprattutto mangia e lascia mangiare. Allora perché dall’altra parte sembra che in larga parte ci sia la voglia sfrenata di diffondere il verbo e convincere la gente che vegetariani – o magari vegani, una scelta che mi trova assolutamente contraria – è meglio?
Come non ho mai sopportato le osservazioni stupide quando ero vegetariana e l’ottusità che mi circondava, così non riesco a sopportare quelli che ti guardano con profondo disgusto quando mangi un panino col prosciutto, perché ti nutri di cadaveri. E predicano che se tutti smettessero di mangiare carne il mondo sarebbe un posto migliore, non esisterebbe la siccità, McDonald’s non colonizzerebbe splendidi palazzi nei centri delle città, e allora perché non mangi il tuo cane, che cos’ha la mucca che lui non ha, e via via delirando.
Ci sono abusi inutili sugli animali che non tollero e non tollererò mai: i combattimenti, gli allevamenti in batteria, le pellicce, la sperimentazione per la cosmesi (quella medica è un altro discorso, più complesso, in cui non voglio entrare). A nessuno sano di mente piace vedere un animale soffrire.
Ma il proselitismo, per come la vedo io, è sempre sinonimo di oscurantismo medievale: a voi il seitan, a me la fiorentina. Dove sta il problema? Non tutti i vegetariani sono predicatori pedanti, naturalmente. Ma alcuni, molti, sì, risultando essere leggermente molesti e soprattutto controproducenti per il messaggio stesso che vogliono veicolare. Da una parte li capisco, avendo vissuto per anni con l'incubo delle domande cretine, da "ma il salame lo mangi?" a "guarda che tanto non puoi più fare niente per questa bistecca". Lo so, ragazzi, è dura. E proprio per questo vi dico: non mettetevi sullo stesso piano. Lasciate che ognuno scelga di non mangiare - o mangiare - quello che ritiene opportuno e seppellite l'ascia di guerra. I conti con le entità superiori, se esistono, li faremo a suo tempo: se finirò nel girone dei carnivori, siete formalmente autorizzati a sputacchiarmi del gomasio in testa, mentre, dall’alto del paradiso vegano, vi gustate una deliziosa insalata di alghe wakame. Fino ad allora, peace and love.
Pasqua si avvicina e con essa le minacciose e/o lacrimevoli campagne che invitano a non mangiare i poveri, teneri agnellini. Premesso che l’agnello non mi fa impazzire e nella mia famiglia di provenienza non si è mai cucinato per motivi di gusti personali, tutto questo fermento animalista mi spinge a raccontarvi la mia storia.
O meglio, mi spingerebbe, se fossi pagata in base al numero di righe che scrivo. Ma così non è, perciò ve la faccio breve, tanto son comunque sei euro che mi danno quelli di Giovio15, quindi meglio sbrigarsi in fretta e tornare a esercitarmi per il giorno in cui farò le selezioni per The Voice.
Mi piacciono molto gli animali, mi sono sempre piaciuti e da piccola volevo fare la veterinaria: ho rinunciato al sogno quando, all’ennesima crisi depressiva per la morte di un cane trentenne che avevo visto una sola volta quindici anni prima in visita da un parente anziano, mi sono resa conto di non avere la fibra giusta per questo mestiere. Tuttavia, ho sempre coltivato una particolare sensibilità sul tema. Per anni sono stata iscritta alla Lega Anti-Vivisezione: ho smesso di pagare la quota quando sul bollettino mensile si è cominciato a parlare di quanto fosse ingiusto uccidere le povere zanzare. Amo gli animali, ma detesto la stupidità.
Per lo stesso motivo ho smesso, dopo quindici anni, di essere vegetariana. In questo caso la stupidità era la mia: non mangiavo carne e salumi ma continuavo a mangiare il pesce. Quale fosse la logica dietro questa scelta è presto detto: nessuna. O meglio, la logica della comodità: se mangiare fuori per un vegetariano in provincia può diventare un incubo, l’opzione “pesce” può regalare qualche possibilità in più. In altre parole, almeno mangiavo il sushi, cibo che sono arrivata a detestare cordialmente dopo anni di obbligatoria sudditanza. A un certo punto la mia personalissima lotta aveva perso di significato e io avevo perso la voglia di stare a tavola e il gusto per il cibo. Succede, quando la prospettiva del prossimo pasto ha il sapore acre e farraginoso di una bistecca di seitan contornata da insalata di alghe.
Anche di questo mi prendo la responsabilità: diventare vegetariani non è una scelta che si può fare a 12 anni, senza essere capaci di cucinare e senza avere accesso a tutti quegli ingredienti, generalmente comunque disgustosi (siate onesti!), che possono integrare il regime alimentare, sostituendo le proteine animali.
Per farvela breve, un giorno di tre anni fa ho ricominciato a mangiare carne e la mia vita è migliorata: il mio corpo è migliorato, ho (ri)scoperto la passione per il cibo e i sapori, la voglia di mettermi a cucinare, la contentezza e la curiosità di assaggiare cose nuove.
Ma non voglio fare proselitismi: sto bene così, anche con i miei sensi di colpa, perché nessuno dice che mangiare gli animali sia una cosa bella o eticamente corretta, e con le preoccupazioni per le schifezze che ingurgito mangiando la carne. Non vi date pensiero di spiegarmi che gli agenti nocivi sono maggiormente presenti nella carne ecc. ecc.: so tutto. Ma tuttavia continuo a fumare e bere alcolici: sono consapevole che mi fanno male, ma vedete, la vita è una sola e anche piuttosto fugace. Prolungarla mangiando solo soia fresca e bevendo acqua non mi sembra utile, non per come sono fatta io.
E nessuno sta dicendo nemmeno che non mangiarli sia sbagliato: vivi e lascia vivere e soprattutto mangia e lascia mangiare. Allora perché dall’altra parte sembra che in larga parte ci sia la voglia sfrenata di diffondere il verbo e convincere la gente che vegetariani – o magari vegani, una scelta che mi trova assolutamente contraria – è meglio?
Come non ho mai sopportato le osservazioni stupide quando ero vegetariana e l’ottusità che mi circondava, così non riesco a sopportare quelli che ti guardano con profondo disgusto quando mangi un panino col prosciutto, perché ti nutri di cadaveri. E predicano che se tutti smettessero di mangiare carne il mondo sarebbe un posto migliore, non esisterebbe la siccità, McDonald’s non colonizzerebbe splendidi palazzi nei centri delle città, e allora perché non mangi il tuo cane, che cos’ha la mucca che lui non ha, e via via delirando.
Ci sono abusi inutili sugli animali che non tollero e non tollererò mai: i combattimenti, gli allevamenti in batteria, le pellicce, la sperimentazione per la cosmesi (quella medica è un altro discorso, più complesso, in cui non voglio entrare). A nessuno sano di mente piace vedere un animale soffrire.
Ma il proselitismo, per come la vedo io, è sempre sinonimo di oscurantismo medievale: a voi il seitan, a me la fiorentina. Dove sta il problema? Non tutti i vegetariani sono predicatori pedanti, naturalmente. Ma alcuni, molti, sì, risultando essere leggermente molesti e soprattutto controproducenti per il messaggio stesso che vogliono veicolare. Da una parte li capisco, avendo vissuto per anni con l'incubo delle domande cretine, da "ma il salame lo mangi?" a "guarda che tanto non puoi più fare niente per questa bistecca". Lo so, ragazzi, è dura. E proprio per questo vi dico: non mettetevi sullo stesso piano. Lasciate che ognuno scelga di non mangiare - o mangiare - quello che ritiene opportuno e seppellite l'ascia di guerra. I conti con le entità superiori, se esistono, li faremo a suo tempo: se finirò nel girone dei carnivori, siete formalmente autorizzati a sputacchiarmi del gomasio in testa, mentre, dall’alto del paradiso vegano, vi gustate una deliziosa insalata di alghe wakame. Fino ad allora, peace and love.