
di Chiara Boscaro
Non voglio parlare dell’École des Maîtres. Non voglio parlare di Ricci e Forte all’École des Maîtres, perché mi viene solo da ridere. Se non sapete cos’è l’École des Maîtres, cercatevelo su Google e capirete perché mi viene da ridere.
Oggi voglio parlare di cultura pop, invece. Tutta la storia del post-moderno ci insegna che qualunque caccola culturale brutta si può riabilitare, con le dovute giustificazioni intellettuali. Tarantino ha riabilitato le commedie scollacciate di Lino Banfi. Il New Italian Epic pasteggia a cartoni animati giapponesi e Girella. Su internet spopolano i tutorial dei casi umani. E il teatro italiano, che copia male dal teatro tedesco, ricicla tutto il resto. Cioè la Nutella, Heather Parisi, le giacche con le spalline, il coro dell’Armata Rossa, le vacanze a Rimini, i santini delle nonne, i mobili tarlati delle cascine fuori Milano, coltivare pomodori in casa, i brillantini, ecc. ecc. ecc.
Oggi mi sono svegliata e ho deciso che volevo riabilitare qualcosa anch’io, ma non avevo voglia di grattare il fondo del barile degli anni ’80. Ho pensato ai fuseaux con la staffa in fondo, troppo settoriali. Ho pensato al push-pop. Ho pensato a Cacao Meravigliao e poi alla Lada Primavera che avevano i miei quando ero piccola e che tutti invidiavano per i minitergicristalli davanti ai fanali anteriori. Noia.
Poi mi ha colpito. Un fulmine, un’idea, un dito nella presa. Ma certo. Più facile di così. È pure già mezzo sdoganato, è una riabilitazione a colpo sicuro. La prima volta me ne aveva parlato una famosa drammaturga serba. Tra gli ex-Jugoslavia pare sia una specie di droga. Lei rivestiva il tutto di un afflato politico cercando di autogiustificare la sua dipendenza. All’epoca avevo pensato “Dilettanti, non avete neanche i fiori” e liquidato la questione. Però qualche anno dopo ci si è messa lei, “Raffaella canta a casa mia”, e non potevo farmi scivolare il fenomeno tra le dita. Ho acceso il televisore, ho tirato fuori le patatine come solo Rocco Siffredi sa farle, e sono caduta nel tunnel.
Eurosong Contest.
La baracconata definitiva. Ci sono 37 Paesi partecipanti, in teoria europei ma non si capisce Israele cosa c’entri. C’è la sigla dell’eurovisione all’inizio e alla fine, e quella è dai tempi di Giochi senza Frontiere che non la sentivo, riesce a commuovermi ogni volta. Non ci sono i fiori di Sanremo ma per fortuna neanche i presentatorvallettimpaeranti. Alla finale cantano in 26, di cui 5 senza passare dalle selezioni intermedie ma non ho idea del perché. Quest’anno il palco era ricoperto della roba di cui sono fatti i sogni touchscreen. Ci sono i fuochi d’artificio, le pedane rotanti, l’acqua, il ghiaccio, le alabarde spaziali e le luci psichedeliche. Le canzoni sono quanto di peggio la musica pop possa immaginare. C’è la discomusic greca, il neomelodico azero, le Britney gemelle russe, le hip-hop-porno-polacche, e nonostante si inneggi alle belle biodiversità musical-nazionali sembrano tutti (o quasi) brutte copie – cantate in inglese - di qualcosa di già propinato dagli americani dieci anni fa (di fatto siamo davanti a una riabilitazione già in sé).
Sono sconvolta.
È una droga.
Vorrei che questo momento si estroflettesse nell’eternità.
E poi ci sono le votazioni. Televoto europeo, durata 15 minuti. Stop al televoto. Ogni Paese comunica in diretta i suoi primi tre classificati. La drammaturga serba forse aveva ragione. In questo meccanismo c’è qualcosa di politico. Gli scandinavi si votano tra di loro. Gli ex-sovietici si votano tra di loro. Il rapporto Russia-Ucraina non è molto chiaro, certo, ma nessuno durante la serata ha minimamente accennato ai carri armati dell’una entro i confini dell’altra, la musica è superiore a tutto. Gli ex-Jugoslavia si votano tra loro. I francesi si ostinano a rimanere gli unici ostinati contro l’anglicismo imperante, ma a questo punto li capisco. I mediterranei sono talmente alle cozze che non ce la fanno neanche a fare lobby.
E alla fine vince la donna barbuta.
Meraviglia/o.
Più di così non si poteva umanamente riabilitare.
P.S. probabilmente Conchita Wurst è davvero quella che ha cantato meglio, ma questo non ha importanza, la musica è superiore a tutto.
Non voglio parlare dell’École des Maîtres. Non voglio parlare di Ricci e Forte all’École des Maîtres, perché mi viene solo da ridere. Se non sapete cos’è l’École des Maîtres, cercatevelo su Google e capirete perché mi viene da ridere.
Oggi voglio parlare di cultura pop, invece. Tutta la storia del post-moderno ci insegna che qualunque caccola culturale brutta si può riabilitare, con le dovute giustificazioni intellettuali. Tarantino ha riabilitato le commedie scollacciate di Lino Banfi. Il New Italian Epic pasteggia a cartoni animati giapponesi e Girella. Su internet spopolano i tutorial dei casi umani. E il teatro italiano, che copia male dal teatro tedesco, ricicla tutto il resto. Cioè la Nutella, Heather Parisi, le giacche con le spalline, il coro dell’Armata Rossa, le vacanze a Rimini, i santini delle nonne, i mobili tarlati delle cascine fuori Milano, coltivare pomodori in casa, i brillantini, ecc. ecc. ecc.
Oggi mi sono svegliata e ho deciso che volevo riabilitare qualcosa anch’io, ma non avevo voglia di grattare il fondo del barile degli anni ’80. Ho pensato ai fuseaux con la staffa in fondo, troppo settoriali. Ho pensato al push-pop. Ho pensato a Cacao Meravigliao e poi alla Lada Primavera che avevano i miei quando ero piccola e che tutti invidiavano per i minitergicristalli davanti ai fanali anteriori. Noia.
Poi mi ha colpito. Un fulmine, un’idea, un dito nella presa. Ma certo. Più facile di così. È pure già mezzo sdoganato, è una riabilitazione a colpo sicuro. La prima volta me ne aveva parlato una famosa drammaturga serba. Tra gli ex-Jugoslavia pare sia una specie di droga. Lei rivestiva il tutto di un afflato politico cercando di autogiustificare la sua dipendenza. All’epoca avevo pensato “Dilettanti, non avete neanche i fiori” e liquidato la questione. Però qualche anno dopo ci si è messa lei, “Raffaella canta a casa mia”, e non potevo farmi scivolare il fenomeno tra le dita. Ho acceso il televisore, ho tirato fuori le patatine come solo Rocco Siffredi sa farle, e sono caduta nel tunnel.
Eurosong Contest.
La baracconata definitiva. Ci sono 37 Paesi partecipanti, in teoria europei ma non si capisce Israele cosa c’entri. C’è la sigla dell’eurovisione all’inizio e alla fine, e quella è dai tempi di Giochi senza Frontiere che non la sentivo, riesce a commuovermi ogni volta. Non ci sono i fiori di Sanremo ma per fortuna neanche i presentatorvallettimpaeranti. Alla finale cantano in 26, di cui 5 senza passare dalle selezioni intermedie ma non ho idea del perché. Quest’anno il palco era ricoperto della roba di cui sono fatti i sogni touchscreen. Ci sono i fuochi d’artificio, le pedane rotanti, l’acqua, il ghiaccio, le alabarde spaziali e le luci psichedeliche. Le canzoni sono quanto di peggio la musica pop possa immaginare. C’è la discomusic greca, il neomelodico azero, le Britney gemelle russe, le hip-hop-porno-polacche, e nonostante si inneggi alle belle biodiversità musical-nazionali sembrano tutti (o quasi) brutte copie – cantate in inglese - di qualcosa di già propinato dagli americani dieci anni fa (di fatto siamo davanti a una riabilitazione già in sé).
Sono sconvolta.
È una droga.
Vorrei che questo momento si estroflettesse nell’eternità.
E poi ci sono le votazioni. Televoto europeo, durata 15 minuti. Stop al televoto. Ogni Paese comunica in diretta i suoi primi tre classificati. La drammaturga serba forse aveva ragione. In questo meccanismo c’è qualcosa di politico. Gli scandinavi si votano tra di loro. Gli ex-sovietici si votano tra di loro. Il rapporto Russia-Ucraina non è molto chiaro, certo, ma nessuno durante la serata ha minimamente accennato ai carri armati dell’una entro i confini dell’altra, la musica è superiore a tutto. Gli ex-Jugoslavia si votano tra loro. I francesi si ostinano a rimanere gli unici ostinati contro l’anglicismo imperante, ma a questo punto li capisco. I mediterranei sono talmente alle cozze che non ce la fanno neanche a fare lobby.
E alla fine vince la donna barbuta.
Meraviglia/o.
Più di così non si poteva umanamente riabilitare.
P.S. probabilmente Conchita Wurst è davvero quella che ha cantato meglio, ma questo non ha importanza, la musica è superiore a tutto.