
di Chiara Boscaro
Sarà che è estate, sarà la prova costume in Svezia, sarà che per la mia famiglia questa è una vacanza post-laurea in differita e invece sono qui a lavorare, ma in questo periodo sto riflettendo molto sul diventare grandi, sull’adultitudine, su cosa sarà di me dopo i 35. Oddio, ho le smagliature, ci metto un sacco di cremine inutili alla placenta di caimano, ma non ne farei una questione dermatologica. Neanche le rughe sono il vero problema. I capelli bianchi mi attanagliano di più, ma non è neanche quello. Il matrimonio, una discendenza? Sì, ma no. La pensione integrativa? Devo segnarmi di andare in banca a chiedere, a proposito. E la prossima volta che mi tocca spiegare a un over-60 che i contratti “fantasiosi” danneggiano anche lui, perché se io non pago i contributi a lui non arriva la pensione, giuro che potrei irritarmi. Ma no. Non è a questo che penso, qui in Svezia. Penso che se voglio continuare a fare il mio lavoro in Italia, devo trovare un modo di bloccare la mia età anagrafica a 34 anni. Ora ne ho 29, ho tempo per ingegnarmi. Non so quanto il Lettore Medio sia ormai consapevole della triste esistenza del giovane e volenteroso artista in Italia, ma la vita del giovane e volenteroso artista in questo Paese è incatenata a bandi, borse, premi e chiamate alle armi. Tutti per under-35. È perché questo Paese è incatenato alla famiglia, e come tale possiamo ben visualizzarlo. Al Potere (ogni forma di potere) sono i nonni, saggi anziani, possibilmente maschi, che passano le loro giornate a lamentarsi della sciatica e giocare a carte davanti a ettolitri di bianco con la spuma. Più sotto sono i genitori, i loro figli, che in pieno complesso edipico cercano di farli fuori con il Viagra, la promessa di pensioni d’oro e complicatissime raccolte punti incrociate Esselunga/Carrefour/Ikea. A lato c’è tutto un mondo di vecchie zie marelle che dedicano la vita ai cuccioli abbandonati sull’Autosole a Ferragosto. E poi ci sono i nipotini. Il rapporto di tutte queste figure con i nipotini è quello classico. Loro a Natale ti danno la bustina, e tu ringrazi. Questo Paese si basa sull’istituto fondamentale della mancia. Perché la mancia è perfetta. È esentasse, è priva di sensi di colpa, è una tantum e non implica una scelta. Che vuoi, lasciare qualche nipote senza? A tutti un gelatino e una pacca sulla spalla, che se gliene dai di più poi rischi che se li buttino via in discoteca. Che poi magari si drogano pure. Che poi magari si montano la testa e vengono a chiederne di più, chessò, per avviare una startup, per creare un network, per rendersi indipendenti. No no, non sia mai.
Annaspo, barcollo tra Tavor e Xanax, nell’incertezza mi sparo un attacco di panico. Come posso mantenermi sotto i 35 per sempre? Compro documenti falsi? Lavoro con attori neonati per abbassare la media? Mi sparo il Botox in vena? Cambio lavoro?
Sono disperata. Tra sei anni non sarò più under-35, e poi non avrò più diritto alla mancia, e poi non mi sentirò più parte della famiglia.
E poi gli asciugapiatti tirolesi a chi li regalo?
Sarà che è estate, sarà la prova costume in Svezia, sarà che per la mia famiglia questa è una vacanza post-laurea in differita e invece sono qui a lavorare, ma in questo periodo sto riflettendo molto sul diventare grandi, sull’adultitudine, su cosa sarà di me dopo i 35. Oddio, ho le smagliature, ci metto un sacco di cremine inutili alla placenta di caimano, ma non ne farei una questione dermatologica. Neanche le rughe sono il vero problema. I capelli bianchi mi attanagliano di più, ma non è neanche quello. Il matrimonio, una discendenza? Sì, ma no. La pensione integrativa? Devo segnarmi di andare in banca a chiedere, a proposito. E la prossima volta che mi tocca spiegare a un over-60 che i contratti “fantasiosi” danneggiano anche lui, perché se io non pago i contributi a lui non arriva la pensione, giuro che potrei irritarmi. Ma no. Non è a questo che penso, qui in Svezia. Penso che se voglio continuare a fare il mio lavoro in Italia, devo trovare un modo di bloccare la mia età anagrafica a 34 anni. Ora ne ho 29, ho tempo per ingegnarmi. Non so quanto il Lettore Medio sia ormai consapevole della triste esistenza del giovane e volenteroso artista in Italia, ma la vita del giovane e volenteroso artista in questo Paese è incatenata a bandi, borse, premi e chiamate alle armi. Tutti per under-35. È perché questo Paese è incatenato alla famiglia, e come tale possiamo ben visualizzarlo. Al Potere (ogni forma di potere) sono i nonni, saggi anziani, possibilmente maschi, che passano le loro giornate a lamentarsi della sciatica e giocare a carte davanti a ettolitri di bianco con la spuma. Più sotto sono i genitori, i loro figli, che in pieno complesso edipico cercano di farli fuori con il Viagra, la promessa di pensioni d’oro e complicatissime raccolte punti incrociate Esselunga/Carrefour/Ikea. A lato c’è tutto un mondo di vecchie zie marelle che dedicano la vita ai cuccioli abbandonati sull’Autosole a Ferragosto. E poi ci sono i nipotini. Il rapporto di tutte queste figure con i nipotini è quello classico. Loro a Natale ti danno la bustina, e tu ringrazi. Questo Paese si basa sull’istituto fondamentale della mancia. Perché la mancia è perfetta. È esentasse, è priva di sensi di colpa, è una tantum e non implica una scelta. Che vuoi, lasciare qualche nipote senza? A tutti un gelatino e una pacca sulla spalla, che se gliene dai di più poi rischi che se li buttino via in discoteca. Che poi magari si drogano pure. Che poi magari si montano la testa e vengono a chiederne di più, chessò, per avviare una startup, per creare un network, per rendersi indipendenti. No no, non sia mai.
Annaspo, barcollo tra Tavor e Xanax, nell’incertezza mi sparo un attacco di panico. Come posso mantenermi sotto i 35 per sempre? Compro documenti falsi? Lavoro con attori neonati per abbassare la media? Mi sparo il Botox in vena? Cambio lavoro?
Sono disperata. Tra sei anni non sarò più under-35, e poi non avrò più diritto alla mancia, e poi non mi sentirò più parte della famiglia.
E poi gli asciugapiatti tirolesi a chi li regalo?