
LA FIATELLA DI TARANTINO
Quentin Tarantino, mentuto regista che piace tanto ai giovani cinefili (tranne a quelli che vogliono per forza fare i bastian contrari. Tipo quei vegetariani antipatici che si autoinvitano alle grigliate per fare le facce schifate e far pesare a tutti il loro il digiuno forzato) per il suo dissacrante citazionismo post-moderno e per una certa dose di faccia da culo, torna al cinema dopo lunga attesa. E mentre in sala imperversano le pazze gesta del suo “Django Unchained”, la mia mente stanca torna a quella notte di tanti anni fa in cui io ebbi una breve, ma indimenticabile, conversazione con il regista di Knoxville, Tennensee.
nella foto: Camilla dopo l'alitata di Tarantino
Era il lontano settembre 2010 e vagavo in piazza San Marco al termine di un’esaltante, ed estenuante, Mostra del Cinema veneziana. Io e la mia amica Sara avevamo passato ogni singolo istante libero da proiezioni e gozzoviglie nella hall dell’Hotel Excelsior nel vano tentativo di riuscire a parlare con lui, il presidente della giuria, in camicia di flanella a scacchi e Stetson nero. L’impareggiabile Quentinone. Ci apprestavamo a tornare a casa con le pive nel sacco, senza aver rimediato una foto, un autografo, neanche un pelucco dell’orrido e onnipresente casaccone di flanella (la temperatura media quell’anno al Lido era di 45° all’ombra, con il 200% di umidità).
Tornavamo da una cena con due poveri malcapitati cinefili, uno dei quali sarebbe anche diventato di lì a poco il mio fidanzatino, quando incrociammo un gruppo di anglofoni avvinazzati che berciavano nella piazza. Era la giuria del Festival e al centro del gruppo si stagliava la sagoma di Quentino in persona.
Li inseguimmo con calma, dignità e classe finché si fermarono ad attendere il water taxi per tornare al Lido. Era la nostra occasione! Dovevamo assolutamente andarci a parlare. Dopo infinite e patetiche contrattazioni del tipo: “vai prima tu – no tu- no ti prego tu – ma tu sai l’inglese bene –ma devi dirgli solo hello, poi intervengo io- se vai tu ti dò 20 euro”, assolutamente discrete e per niente da sfigate, dato che eravamo a 5 metri dal gruppo, il malcapitato n. 1 (leggi: futuro fidanzato) si guadagnò un posto nella storia, facendomi delicatamente notare che di lì a poco sarebbe giunto il taxi e io mi sarei annegata per l’opportunità perduta irrimediabilmente, per sempre. E allora andiamo!
Mi lanciai con la faccia di gesso e Sara marmorea alle calcagna. Quentin era molto elegante, indossava una giacca nera, una maglia degli Ac/Dc e nessun copricapo imbarazzante.
“Scusa Quentin, volevo solo dirti grazie, sei uno dei miei registi preferiti e volevo ringraziarti per quello che hai fatto per me”, mitragliai senza respirare.
“Adesso mi pesta”, pensai. “Adesso si gira e mi dà una sberla per aver interrotto la sua conversazione con i giurati”. E invece il mentone tarantiniano si estroflesse, causando un certo spostamento d’aria, e Quentino proruppe in un abbagliante sorriso:
“Oh grazie mille tesoro, sei davvero dolce!”
Il suo alito era quello di mille botti di Tavernello scoperchiate in un solo colpo, un vaso di Pandora ripieno di Lambrusco invecchiato, una bora alcolica a 40°, barricata. Mi ubriacai immediatamente, aggiungendo ebbrezza alla già fibrillante agitazione del momento.
Il resto della conversazione ve la risparmio. La serata finì in gloria, con me che chiamavo gente a caso sul cellulare alle due del mattino urlando frasi sconnesse (compresa mia madre, che ebbe quasi un infarto, pensando che fossi stata violentata e rapinata) e Sara che cadeva in stato catatonico e tornava a casa muta, con la faccia di Han Solo quando viene imprigionato nella grafite.
La morale di questa storia è: se fate i vegetariani antipatici alle grigliate, la gente è legittimata a cantarvi “niente amici con l’insalata”.
Quentin Tarantino, mentuto regista che piace tanto ai giovani cinefili (tranne a quelli che vogliono per forza fare i bastian contrari. Tipo quei vegetariani antipatici che si autoinvitano alle grigliate per fare le facce schifate e far pesare a tutti il loro il digiuno forzato) per il suo dissacrante citazionismo post-moderno e per una certa dose di faccia da culo, torna al cinema dopo lunga attesa. E mentre in sala imperversano le pazze gesta del suo “Django Unchained”, la mia mente stanca torna a quella notte di tanti anni fa in cui io ebbi una breve, ma indimenticabile, conversazione con il regista di Knoxville, Tennensee.
nella foto: Camilla dopo l'alitata di Tarantino
Era il lontano settembre 2010 e vagavo in piazza San Marco al termine di un’esaltante, ed estenuante, Mostra del Cinema veneziana. Io e la mia amica Sara avevamo passato ogni singolo istante libero da proiezioni e gozzoviglie nella hall dell’Hotel Excelsior nel vano tentativo di riuscire a parlare con lui, il presidente della giuria, in camicia di flanella a scacchi e Stetson nero. L’impareggiabile Quentinone. Ci apprestavamo a tornare a casa con le pive nel sacco, senza aver rimediato una foto, un autografo, neanche un pelucco dell’orrido e onnipresente casaccone di flanella (la temperatura media quell’anno al Lido era di 45° all’ombra, con il 200% di umidità).
Tornavamo da una cena con due poveri malcapitati cinefili, uno dei quali sarebbe anche diventato di lì a poco il mio fidanzatino, quando incrociammo un gruppo di anglofoni avvinazzati che berciavano nella piazza. Era la giuria del Festival e al centro del gruppo si stagliava la sagoma di Quentino in persona.
Li inseguimmo con calma, dignità e classe finché si fermarono ad attendere il water taxi per tornare al Lido. Era la nostra occasione! Dovevamo assolutamente andarci a parlare. Dopo infinite e patetiche contrattazioni del tipo: “vai prima tu – no tu- no ti prego tu – ma tu sai l’inglese bene –ma devi dirgli solo hello, poi intervengo io- se vai tu ti dò 20 euro”, assolutamente discrete e per niente da sfigate, dato che eravamo a 5 metri dal gruppo, il malcapitato n. 1 (leggi: futuro fidanzato) si guadagnò un posto nella storia, facendomi delicatamente notare che di lì a poco sarebbe giunto il taxi e io mi sarei annegata per l’opportunità perduta irrimediabilmente, per sempre. E allora andiamo!
Mi lanciai con la faccia di gesso e Sara marmorea alle calcagna. Quentin era molto elegante, indossava una giacca nera, una maglia degli Ac/Dc e nessun copricapo imbarazzante.
“Scusa Quentin, volevo solo dirti grazie, sei uno dei miei registi preferiti e volevo ringraziarti per quello che hai fatto per me”, mitragliai senza respirare.
“Adesso mi pesta”, pensai. “Adesso si gira e mi dà una sberla per aver interrotto la sua conversazione con i giurati”. E invece il mentone tarantiniano si estroflesse, causando un certo spostamento d’aria, e Quentino proruppe in un abbagliante sorriso:
“Oh grazie mille tesoro, sei davvero dolce!”
Il suo alito era quello di mille botti di Tavernello scoperchiate in un solo colpo, un vaso di Pandora ripieno di Lambrusco invecchiato, una bora alcolica a 40°, barricata. Mi ubriacai immediatamente, aggiungendo ebbrezza alla già fibrillante agitazione del momento.
Il resto della conversazione ve la risparmio. La serata finì in gloria, con me che chiamavo gente a caso sul cellulare alle due del mattino urlando frasi sconnesse (compresa mia madre, che ebbe quasi un infarto, pensando che fossi stata violentata e rapinata) e Sara che cadeva in stato catatonico e tornava a casa muta, con la faccia di Han Solo quando viene imprigionato nella grafite.
La morale di questa storia è: se fate i vegetariani antipatici alle grigliate, la gente è legittimata a cantarvi “niente amici con l’insalata”.