Io la vedo così: siamo una generazione impreparata.
Il confronto con le generazioni precedenti ci può aiutare.
Guardate i nostri genitori: nella loro infanzia sono passati dalla media miseria al boom. L’hanno conosciuta, quella che oggi chiameremmo semipovertà, anche se di sfuggita ce l’hanno tatuata nella memoria. Mia madre mi racconta ancora che ai matrimoni prima si mangiava il pollo. Mio padre si è ritrovato a 19 anni a capo di una famiglia con debiti. Era una situazione difficile, ma non priva di ottimismo: l’economia andava, e se ci si impegnava, e si risparmiava qualcosina, esisteva la possibilità di metter su famiglia, fare un mutuo, e garantire ai loro figli tutto ciò che loro non avevano avuto.
E questa hanno fatto, senza riserve. Ci hanno dato senza pensieri quello per loro sarebbe stato impensabile. Il motorino e le scarpe da 200 euro, e soldi ogni volta che ne chiedevamo. Ci siamo abituati che i soldi fossero una riserva infinita.
E poi, a chi prima a chi dopo, la realtà ha presentato il conto. I soldi non sono una cosa infinita. L’affitto non si paga da solo. Usciamo? Non so, devo vedere se ho i soldi.
Siamo diventati adulti, ma eravamo completamente impreparati. Se ce l’abbiamo fatta, a diventare adulti dico, è stata una meta faticosamente conquistata, e ne portiamo le cicatrici. Non solo: contrariamente ai nostri genitori, l’avvenire che abbiamo davanti non è affatto roseo. La nostra generazione è la prima dal dopoguerra che si aspetta di stare peggio della generazione precedente.

Guardate il venditore di kebab che avete sotto casa. Pensa alla sua autorealizzazione? Soffre di non poter passare la sua giornata a dipingere? No. Il bisogno di sicurezza è ancora forte in lui. Se la sua attività va bene, è contento. È ancora nella parte bassa della piramide di Maslow. Non sa ancora che suo figlio, per il quale si è massacrato per dare quello che lui non si sarebbe neanche sognato, lo guarderà e gli dirà “Cioè, tu sei contento a vendere Kebab? Io voglio fare qualcosa della mia vita.”
Quindi siamo bamboccioni? No. Siamo la prima generazione che deve affrontare più merda della generazione precedente. Stiamo bene a casa? No. Lo sentiamo come il guscio dell’infanzia, e ci sta stretto. Siamo pigri? No. Indolenti un filo, forse.
Ma quello che siamo, veramente, è tragicamente impreparati.