La mia compagna nel tunnel della tossico-drammaturgia è stata fin dall'inizio Elena dei Dinosauri, qui in un immagine di repertorio.
Consulto Google Maps, come un oracolo che scruta le viscere di un agnello. Il responso è agghiacciante: gli dei sono in collera, il teatro in questione è all'estremità opposta dell'universo conosciuto, tipo ad Abbiategrasso ma ancora più lontano, e diluvia.
Propongo alla mia compagna di partire alcune ore prima, magari mangiare una cazzata in giro.
"Va bene, ma io comunque faccio merenda prima" risponde Elena dei Dinosauri.
Questa è la mia visualizzazione mentale di tale merenda.
Come ogni scaltro predatore che cerca di mimetizzarsi con l'ambiente circostante, Elena dei Dinosauri è in mimetica. Per rendere vano tale sforzo, io ho un giubbotto giallo fosforescente impermeabile della Decathlon.
Cazzo se siam belli.
Saliamo. Dietro è spento e buio, e una ragazza telefona. Apriamo la porta, ma è chiuso.
Perplessità. La ragazza copre il telefono con la mano.
“Dovete andare dietro.”
Io e Elena ci lanciamo uno sguardo con sopracciglio alzato.
Dietro c'e un piazzale , buio, con poca luce che illumina pochi persone sui tavolini. C'e un'aria da circolo massonico sociale, da rilassata carboneria.
Lo spiazzale è scuro e colorato. Lo adoro.
Mangiamo.
E invece ce ne stiamo lì contenti, e lo spettacolo comincia.
Tre personaggi attraversa Cendron, tre storie, scritte da tre diversi autori, vengono raccontate, le prime due forse più contundenti, la terza più graduale e straziante, come un lento soffocare.
Lo spettacolo finisce, e tu te ne stai lì, e tutta la merda di cui sei composto è stata svelata.
Applaudiamo. Guardo Elena.
Piaciuto?
Sì.
Ci alziamo.
Incontriamo uno degli autori.
Incontro Gigio Alberti, e non lo riconosco.
(che figura di merda)