
di Chiara Boscaro
Quando si va a scuola si arriva a Leopardi e scatta l’incredulità. Come si fa a immaginare un pessimismo così totale e paralizzante? Ci si rifugia nella storia personale: era gobbo, era quasi nano, aveva una famiglia asfissiante, è morto di cagotto dopo aver mangiato troppi gelati. Insomma, ne aveva di motivi.
L’altro giorno stavo leggendo un articolo su non ricordo che rivista - credo fosse l’inserto del sabato di Repubblica, credo fosse un pezzo di Zucconi – su un tema molto semplice ma chiarificatore. Gli Americani, schiavi della performatività, alla domanda “Come va?” risponderanno sempre “Great!”. Gli Italiani, fateci caso, spaziano tra “Mmmh…”, “Domanda successiva?”, il tremendo “Si tira avanti”, “Potrebbe andare meglio”, “Così così”, “Di salute?”, “Sì, come al solito”. Nessuno, NESSUNO, risponderà mai “Great!”. Anche perché metà della popolazione italiana ignora la lingua inglese, ma questo è un altro discorso. L’Italiano con la legge di Murphy ci si rimbocca le coperte ogni sera. L’Italiano con il pessimismo ci addolcisce il caffelatte la mattina. L’Italiano non sfiderebbe mai la sorte dicendo che sta bene, perché poi la sfortuna si accanirebbe su di lui. È un atteggiamento passivo, certo. Così, se qualcosa si scatena davvero, nessuno può essere tacciato di Hybris, la superbia che porta a sfidare il destino. L’Italiano il comandamento lo prende alla lettera: non bisogna agire contro il destino – il destino è dovunque – io non faccio assolutamente nulla e sto in una botte di ferro – anzi, già che ci sono mi lamento un po’. L’Italiano è artista vero della lamentazione. Per questo ha inventato il melodramma. Mezz’ora di lamentazione preventiva, atto contro il destino, vendetta tremenda vendetta del suddetto, mezz’ora di lamentazione successiva. Si va dalle tre alle cinque ore di pura bellezza, puramente didattica perché è chiaro, di questi che peccano di Hybris non se ne salva uno. L’Italiano esercita la lamentazione ogni giorno e in ogni ambito della vita. Io sono una fine conoscitrice di anziani che si lamentano sui mezzi pubblici. La mia unica colpa è che non ascolto musica con le cuffie, e questo fa credere loro che sia entusiasta di ascoltare il loro monologo. Così subisco e ascolto, e non rispondo, perché anch’io nel mio piccolo temo il destino e di ellenico mi porto dietro il rispetto per l’anziano, non sia mai, magari è Edipo e gli sto rispondendo male? Questi i temi prediletti. (Premetto che questi vecchietti non sono quasi mai pazzi, è importante). Dunque. La salute che se ne va, la dipendenza da farmaci, la dislocazione geografica delle strutture ospedaliere, la malasanità. Il mezzo pubblico, la maleducazione dei giovani sul mezzo pubblico, la gente che non paga il biglietto, il biglietto che costa veramente troppo per poterlo pagare sempre, i disservizi del mezzo pubblico che neanche ci mettono i controllori. La città che cambia, l’invasione di “questi qui che arrivano e portano via il lavoro e fanno quello che vogliono” (Milano dopo la Liberazione era vuota - dal ’45 a oggi di gente ne è arrivata parecchia, probabilmente anche l’anziano in questione), i cestini che non ci sono, i truffatori porta a porta travestiti da addetti dell’A2A, le donne che dopo il tramonto non possono andare in giro perché c’è uno stupratore dietro ogni palo e in particolare in Stazione Centrale (l’anziana in questione non prendeva un treno dal 1985, ho scoperto poi). Insomma, non va bene niente. E l’esercizio retorico si perfeziona sempre più. E nessuno fa niente per cambiare qualcosa, perché l’esercizio retorico in Italia è arte, non è politica. In Italia arte e politica non devono toccarsi mai.
Great.
Quando si va a scuola si arriva a Leopardi e scatta l’incredulità. Come si fa a immaginare un pessimismo così totale e paralizzante? Ci si rifugia nella storia personale: era gobbo, era quasi nano, aveva una famiglia asfissiante, è morto di cagotto dopo aver mangiato troppi gelati. Insomma, ne aveva di motivi.
L’altro giorno stavo leggendo un articolo su non ricordo che rivista - credo fosse l’inserto del sabato di Repubblica, credo fosse un pezzo di Zucconi – su un tema molto semplice ma chiarificatore. Gli Americani, schiavi della performatività, alla domanda “Come va?” risponderanno sempre “Great!”. Gli Italiani, fateci caso, spaziano tra “Mmmh…”, “Domanda successiva?”, il tremendo “Si tira avanti”, “Potrebbe andare meglio”, “Così così”, “Di salute?”, “Sì, come al solito”. Nessuno, NESSUNO, risponderà mai “Great!”. Anche perché metà della popolazione italiana ignora la lingua inglese, ma questo è un altro discorso. L’Italiano con la legge di Murphy ci si rimbocca le coperte ogni sera. L’Italiano con il pessimismo ci addolcisce il caffelatte la mattina. L’Italiano non sfiderebbe mai la sorte dicendo che sta bene, perché poi la sfortuna si accanirebbe su di lui. È un atteggiamento passivo, certo. Così, se qualcosa si scatena davvero, nessuno può essere tacciato di Hybris, la superbia che porta a sfidare il destino. L’Italiano il comandamento lo prende alla lettera: non bisogna agire contro il destino – il destino è dovunque – io non faccio assolutamente nulla e sto in una botte di ferro – anzi, già che ci sono mi lamento un po’. L’Italiano è artista vero della lamentazione. Per questo ha inventato il melodramma. Mezz’ora di lamentazione preventiva, atto contro il destino, vendetta tremenda vendetta del suddetto, mezz’ora di lamentazione successiva. Si va dalle tre alle cinque ore di pura bellezza, puramente didattica perché è chiaro, di questi che peccano di Hybris non se ne salva uno. L’Italiano esercita la lamentazione ogni giorno e in ogni ambito della vita. Io sono una fine conoscitrice di anziani che si lamentano sui mezzi pubblici. La mia unica colpa è che non ascolto musica con le cuffie, e questo fa credere loro che sia entusiasta di ascoltare il loro monologo. Così subisco e ascolto, e non rispondo, perché anch’io nel mio piccolo temo il destino e di ellenico mi porto dietro il rispetto per l’anziano, non sia mai, magari è Edipo e gli sto rispondendo male? Questi i temi prediletti. (Premetto che questi vecchietti non sono quasi mai pazzi, è importante). Dunque. La salute che se ne va, la dipendenza da farmaci, la dislocazione geografica delle strutture ospedaliere, la malasanità. Il mezzo pubblico, la maleducazione dei giovani sul mezzo pubblico, la gente che non paga il biglietto, il biglietto che costa veramente troppo per poterlo pagare sempre, i disservizi del mezzo pubblico che neanche ci mettono i controllori. La città che cambia, l’invasione di “questi qui che arrivano e portano via il lavoro e fanno quello che vogliono” (Milano dopo la Liberazione era vuota - dal ’45 a oggi di gente ne è arrivata parecchia, probabilmente anche l’anziano in questione), i cestini che non ci sono, i truffatori porta a porta travestiti da addetti dell’A2A, le donne che dopo il tramonto non possono andare in giro perché c’è uno stupratore dietro ogni palo e in particolare in Stazione Centrale (l’anziana in questione non prendeva un treno dal 1985, ho scoperto poi). Insomma, non va bene niente. E l’esercizio retorico si perfeziona sempre più. E nessuno fa niente per cambiare qualcosa, perché l’esercizio retorico in Italia è arte, non è politica. In Italia arte e politica non devono toccarsi mai.
Great.