
di Chiara Boscaro
Ove si parla di teatro, di autobiografie, del normale rapporto con la vita e de "La Grande Bellezza".
Non mi attaccherò al trend lapidatorio, ma porterò alcuni esempi per dimostrare una mia piccola teoria, chiaramente parziale, perché mia.
Andate a leggervi le classifiche di vendite dei libri (libri, non romanzi) sotto Natale. Vincono autobiografie, biografie e ricette di cucina miste a biografie degli chef.
Andate a guardarvi i palinsesti delle TV, diciamo della RAI così rimaniamo nel “pubblico”. Vincono reality, programmi di approfondimento sulla realtà, giochi cui partecipano persone reali e biopic che raccontano storie di eminenti persone reali, presenti o passate. E tutto ciò che viene detto su queste persone viene passato per vero.
Andate a rivedere la querelle su “La Grande Bellezza” degli ultimi giorni. Mediamente il dibattito resta sul tema “Quella non è Roma”. E io rispondo “Echissenefrega?”. Oppure seguite qualche discussione su “Il Capitale Umano”, sembra che il problema più grande sia che quei brianzoli li conosca Virzì. E anche se fosse? Quello è il suo modo di raccontare quello che lui vede nella Brianza, con le tecniche e lo stile che meglio crede. Che è diverso ancora da quello che ci vede Genna in “Italia de profundis”. Che è diverso ancora da quello che ci vede una mia amica appassionata di design di lampade Artemide. È come dire che Pasolini ha mentito perché a Roma non erano mica tutti marchettari… capite bene che qui il punto della questione sta altrove.
Per non parlare del teatro, dove il distaccarsi da un realismo “borghese” ci ha portati al punto che ci tocca vedere e respirare gli umori più biechi di un povero performer perché reale, ma sorvoliamo sul fatto che il poverino non ha alcun motivo di stare lì.
Ora io mi chiedo, ma quand’è che le storie sono state bandite dal regno? Quand’è che il punto di vista è andato a farsi benedire? Quand’è che gli artisti sono diventati cronisti storici? Come se in un articolo di giornale non si potessero prendere delle posizioni…
È che ormai viviamo nel dubbio perenne, le fonti di informazione manipolate, il grande web mondiale, e allora ci attacchiamo alle stronzate, vogliamo crederci tantissimo, speriamo che siano vere, certe e certificabili, e l’unico modo per certificarle è che qualcuno ci metta la faccia. Certo, perché l’uomo da che mondo è mondo ha sempre detto la verità.
Ieri stavo passando accanto a un cantiere, tra Milano e Sesto San Giovanni, ho buttato l’occhio oltre la rete e mi sono fermata di colpo. C’erano delle pecore che pascolavano, libere e felici. Se io mettessi questa scena in un mio testo, in una sceneggiatura, in un romanzo, subito mi accuserebbero di manipolare il reale perché mi piace “farlo strano”. Eppure questa è la realtà. E parallelamente mi accuserebbero di non occuparmi del reale (grande colpa della drammaturgia italiana, secondo i detrattori), perché utilizzo questa immagine, e non un elenco di dati certi certificabili (ma che nessuno certifica mai) per parlare, che ne so, della fine del mondo contadino, dei cantieri abbandonati, addirittura della mafia. Perché i numeri (mediamente recitati male) sembrano reali e incontrovertibili, una scena no.
Perché noi confondiamo reale e verosimile.
E così si creano un cinema che punta al documentaristico e un teatro che rinuncia alle storie, alla finzione, alla rielaborazione della realtà in qualcosa d’altro, che il mondo ce lo fa vedere sì, ma filtrato dall’occhio di uno o più autori. Se no perché paghiamo quel maledetto biglietto? Per pulirci la coscienza, perché non abbiamo studiato prima? Perché è più facile subire per due ore 1000 informazioni scelte a caso, piuttosto che interessarcene direttamente, e cercare, e mettere a confronto fonti diverse?
Se scegli di raccontare una cosa ci metti già del tuo. Perché se hai scelto quel tema vuole dire che da qualche parte ti tocca. Perché tu costruirai la tua opera in un modo o in un altro, tralasciando dei particolari e riempiendo i buchi come meglio credi. Perfino il montaggio o le inquadrature, perfino la dramatis personae, persino la scenografia, tutto apporta significato alla tua scelta.
Pirandello ci ha vinto un Nobel, con il dialogo realistico in un mondo che gioca con la finzione. La Jelinek mischia cronaca, pubblicità, mito, ma il senso è nell’accostamento di tutta questa molteplicità di materiali, non certo nella verosimiglianza del singolo frammento. E Tarantino probabilmente è quello che nel cinema si è più avvicinato alla realtà, la mia almeno. Quello che conta, alla fine, è sempre e solo la realtà che ci voglio vedere io.
Ove si parla di teatro, di autobiografie, del normale rapporto con la vita e de "La Grande Bellezza".
Non mi attaccherò al trend lapidatorio, ma porterò alcuni esempi per dimostrare una mia piccola teoria, chiaramente parziale, perché mia.
Andate a leggervi le classifiche di vendite dei libri (libri, non romanzi) sotto Natale. Vincono autobiografie, biografie e ricette di cucina miste a biografie degli chef.
Andate a guardarvi i palinsesti delle TV, diciamo della RAI così rimaniamo nel “pubblico”. Vincono reality, programmi di approfondimento sulla realtà, giochi cui partecipano persone reali e biopic che raccontano storie di eminenti persone reali, presenti o passate. E tutto ciò che viene detto su queste persone viene passato per vero.
Andate a rivedere la querelle su “La Grande Bellezza” degli ultimi giorni. Mediamente il dibattito resta sul tema “Quella non è Roma”. E io rispondo “Echissenefrega?”. Oppure seguite qualche discussione su “Il Capitale Umano”, sembra che il problema più grande sia che quei brianzoli li conosca Virzì. E anche se fosse? Quello è il suo modo di raccontare quello che lui vede nella Brianza, con le tecniche e lo stile che meglio crede. Che è diverso ancora da quello che ci vede Genna in “Italia de profundis”. Che è diverso ancora da quello che ci vede una mia amica appassionata di design di lampade Artemide. È come dire che Pasolini ha mentito perché a Roma non erano mica tutti marchettari… capite bene che qui il punto della questione sta altrove.
Per non parlare del teatro, dove il distaccarsi da un realismo “borghese” ci ha portati al punto che ci tocca vedere e respirare gli umori più biechi di un povero performer perché reale, ma sorvoliamo sul fatto che il poverino non ha alcun motivo di stare lì.
Ora io mi chiedo, ma quand’è che le storie sono state bandite dal regno? Quand’è che il punto di vista è andato a farsi benedire? Quand’è che gli artisti sono diventati cronisti storici? Come se in un articolo di giornale non si potessero prendere delle posizioni…
È che ormai viviamo nel dubbio perenne, le fonti di informazione manipolate, il grande web mondiale, e allora ci attacchiamo alle stronzate, vogliamo crederci tantissimo, speriamo che siano vere, certe e certificabili, e l’unico modo per certificarle è che qualcuno ci metta la faccia. Certo, perché l’uomo da che mondo è mondo ha sempre detto la verità.
Ieri stavo passando accanto a un cantiere, tra Milano e Sesto San Giovanni, ho buttato l’occhio oltre la rete e mi sono fermata di colpo. C’erano delle pecore che pascolavano, libere e felici. Se io mettessi questa scena in un mio testo, in una sceneggiatura, in un romanzo, subito mi accuserebbero di manipolare il reale perché mi piace “farlo strano”. Eppure questa è la realtà. E parallelamente mi accuserebbero di non occuparmi del reale (grande colpa della drammaturgia italiana, secondo i detrattori), perché utilizzo questa immagine, e non un elenco di dati certi certificabili (ma che nessuno certifica mai) per parlare, che ne so, della fine del mondo contadino, dei cantieri abbandonati, addirittura della mafia. Perché i numeri (mediamente recitati male) sembrano reali e incontrovertibili, una scena no.
Perché noi confondiamo reale e verosimile.
E così si creano un cinema che punta al documentaristico e un teatro che rinuncia alle storie, alla finzione, alla rielaborazione della realtà in qualcosa d’altro, che il mondo ce lo fa vedere sì, ma filtrato dall’occhio di uno o più autori. Se no perché paghiamo quel maledetto biglietto? Per pulirci la coscienza, perché non abbiamo studiato prima? Perché è più facile subire per due ore 1000 informazioni scelte a caso, piuttosto che interessarcene direttamente, e cercare, e mettere a confronto fonti diverse?
Se scegli di raccontare una cosa ci metti già del tuo. Perché se hai scelto quel tema vuole dire che da qualche parte ti tocca. Perché tu costruirai la tua opera in un modo o in un altro, tralasciando dei particolari e riempiendo i buchi come meglio credi. Perfino il montaggio o le inquadrature, perfino la dramatis personae, persino la scenografia, tutto apporta significato alla tua scelta.
Pirandello ci ha vinto un Nobel, con il dialogo realistico in un mondo che gioca con la finzione. La Jelinek mischia cronaca, pubblicità, mito, ma il senso è nell’accostamento di tutta questa molteplicità di materiali, non certo nella verosimiglianza del singolo frammento. E Tarantino probabilmente è quello che nel cinema si è più avvicinato alla realtà, la mia almeno. Quello che conta, alla fine, è sempre e solo la realtà che ci voglio vedere io.